Il frinire delle cicale, gli alberi frondosi, un cielo stellato ed un palco con luci volte ad esaltare l’atmosfera magica di una sera di mezza estate.
Questo lo scenario offerto dalla Cavea del Parco della Musica di Roma.
Sul palco l’imponente Coro Lirico italiano, le pianiste Gilda Buttà e Silvia Cappellini Sinopoli, il Maurizio Trippitelli Percussion Ensemble, le voci naturali Gabriella Aiello, Nando Citarella, Barbara Eramo, i musici Pietro Cernuto, Gabriele Coen, Carlo Cossu, Giovanni Lo Cascio, Mauro Palmas, Stefano Saletti, Pejman Tadayon, l’Ensemble Cymbalus. Direzione artistica a cura di Nando Citarella e Stefano Saletti. Direzione musicale del Maestro Renzo Renzi.
In scena cento artisti, tra cantanti, musicisti, solisti, che intrecciano i loro linguaggi e le loro note ritmiche peculiari, conferendo alla serata un pathos particolare ed irripetibile. La produzione è curata da Helikonia e Musica per Roma.
L’appuntamento di sabato 1 agosto ha chiuso in bellezza la rassegna capitolina Luglio suona bene.
Un gran finale, all’insegna della sperimentazione e delle sfide vinte, grazie all’incontro tra il rigore e la solennità dei Carmina Burana, nella loro versione originale di origine medievale, unita ai frizzi e lazzi tipici della partitura di Carl Orff,con il suo spirito goliardico, ispirato ad amori e calici di vino bevuti in una taverna, menti rapite dalla passione per donne affascinanti, sensuali e procaci, abati e cigni, la bellezza, ma anche la tirannia, della natura e le bizzarie della dea bendata.
Uno sberleffo, nato nel 1937, in piena atmosfera nazista.
Ed ancora il ritmo, le melodie e la sensualità tipici della musica popolare in grado di unire tutta l’Italia in un unico abbraccio in note.
Alcuni canti sono stati liberamente tradotti in napoletano, altri in siciliano ed in sabir, l’idioma franco parlato nei porti del Mediterraneo
“Quando mi hanno chiamato a partecipare a quest’avventura – racconta Stefano Saletti – non sapevo come sarebbe stata accolta dal pubblico. La sfida era far incontrare due tradizioni apparentemente lontane anni luce ed inconciliabili. Ma la risposta calorosa del pubblico mi fa pensare ad una sfida vinta.”
Non è un caso infatti che questo appuntamento in musica si intitoli “I Carmina Burana nella tradizione popolare”. Un incontro che parla di dialoghi possibili tra tempi, luoghi e culture diverse.
Un dialogo musicale che ci racconta dell’esplosione della medesima voglia di vivere.
Un’energia vitale celata dietro una scorza di rigore e solennità, nel caso di idiomi come il latino e il tedesco, e lasciata libera di esprimersi senza freni, tra creatività e passione, nel caso dei canti, delle musiche popolari e della musicalità delle lingue del Sud
Perchè lo scopo ultimo della musica e creare ponti ed occasioni di dialogo, unire, far condividere, non dividere.
“Siamo un’unica grande famiglia” sottolinea Nando Citarella.
Ed allora niente di più facile che possano davvero incontrarsi dame in rigoroso “abito scuro” e suadenti donne del popolo dalle movenze sinuose, in cui il nero degli abiti è addolcito e rallegrato da tocchi di rosso,ed accessori dal sapore zingaresco.
Niente di più semplice che strumenti aulici si incontrino e suonino all’unisono ed in armonia con quelli tipici della tradizione popolare, dei canti e dei balli dei campi.
Quelli intonati per salutare il raccolto, una nuova vita che fa il suo ingresso nel mondo o esorcizzare la paura per un brutto accidente o per un “malocchio”.
Cosa succede se questo incontro avviene?
Succede che il rigore del latino, la solennità della lingua ufficiale di un tempo che fu, si scioglie nell’accorato canto brigantesco della gente dei vicoli, trascinato via dalla voce irriverente di un saltibanco cantastorie, a cui fa eco quella di un oste che innalza, nel suo romanesco saporito, un inno alla vita ed al vino “generoso”.
Un “impasto” armonico che vuole recuperare e valorizzare, in chiave contemporanea, lo spirito di mosaico multilingue e multiculturale che anima i racconti e le storie narrate nel Codex buranus che prende successivamente il nome di Carmina Burana. Ad esserne portavoce, infatti, come menestrelli e cantastorie, i chierici girovaghi, i cosiddetti goliardi o clerici vagantes, che dal XII al XIII secolo compongono la raccolta di canti poi scoperta nell’abbazia di Benediktbeuern.
Anche gli strumenti musicali tipici delle due tradizioni, classica e popolare, intrecciano un valzer.
La zampogna, lo scacciapensieri, il putipù (una specie di tamburo), il tamburello il piffero, la chitarra, il mandolino, le ciaramelle ed i friscaletti, tipici di un universo rurale, intraprendono un dialogo con la lauta albanese, il bamtar afgano, l’oud arabo, il bouzouki greco.
Punte ardite di sperimentazione si raggiungono grazie alla voce graffiata del sassofono. E poi ecco che viene tesa la mano al pianoforte, in un intreccio di suoni, voci, timbri armonici e narrazioni in un’unione di coro, pianoforte e percussioni sinfoniche.
Ne nasce un inedito analgama, che non risparmia punte drammatiche e solenni, tra canti religiosi o profani, scherzosi, amatori, satirici, blasfemi e mistici .
Un grande viaggio, quindi, per fare dei Carmina un unicum tra mondi musicali ed espressivi apparentemente differenti che, presentati in questa nuova veste, dimostrano come l’apertura al nuovo, la capacità di rinnovarsi e reinventarsi, di aprire le braccia al cambiamento, siano una grande sfida che non è possibile non intraprendere.
Una sfida che, al netto dei timori e delle ottuse chiusure al rinnovamento, è possibile e doveroso vincere.
Per suggellare questo patto in musica, la serata si chiude con un gustoso inno al vino ed alla vita e con un brindisi, condiviso con il pubblico, con un nettare degli dei frizzantino proveniente, dalle terre gragnanesi della Campania Felix.
Tania Sabatino
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