La sera del 3 agosto il Pomigliano Jazz ospita tutti nell’Anfiteatro Romano di Avella, siamo nelle settimane più calde degli ultimi dieci anni e andare in collina per un concerto all’aperto può rappresentare un seducente valore aggiunto alla ricca proposta artistica.
L’apertura è affidata a Francesco D’Errico Quintet (Giulio Martino sassofoni, Antonio Iasevoli chitarra, Marco De Tilla contrabbasso e Dario Guidobaldi batteria ), un progetto molto interessante dedicato al madrigalista lucano del 1600 Carlo Gesualdo e costruito sulle suggestioni delle sue composizioni, il progetto ha un sapore prog, ma non tarda nei giusti punti a sottolineare lo swing, il rock e la musica d’avanguardia. La veste è quella di composizioni contemporanee che procedono raccontando una storia, come un concept album. L’effetto è potente.
Dopo un veloce cambio palco già predisposto guadagna spazio la formazione del concerto che segue ed entrano Tivon Pennicott al sax, Chip Crawford al pianoforte, Ondrej Pivec all’organo hammond, Jahmal Nichols al basso ed Emanuel Harrold alla batteria, cominciano a suonare e sulle note di Holdin’ on guadagna il palco Gregory Porter, nel suo celebre cappello e camicia bianca, lo accompagna un applauso scrosciante che si tramuta in un anfiteatro muto ed immobile non appena comincia a cantare. La presenza di Porter è senz’altro imponente, un omone dai modi gentili, una voce gigantesca, profonda quanto abile, toccante quanto diretta.
Il relax con cui riesce ad esporre i temi dei suoi brani si posa come un velo su qualunque beat, e lo rende morbido, certo il tutto è reso possibile da una band perfettamente composta. Il secondo brano infatti, On My Way To Harlem è un even eight in tempo veloce, ma la sua vocalità non fa percepire il timing e crea una situazione di profondità e distensione, il primo assolo tocca proprio a lui, di grande respiro e con una sillabazione molto personale. E’ in questo brano che ascoltiamo anche il primo assolo di pianoforte della serata, davvero impressionante Crawford, non solo per la sua abilità, ma anche per il suo sapore moderno che da alla formazione di stampo tradizionale di Porter un significativo valore aggiunto. La sua presenza resta piuttosto discreta per tutto il concerto, accompagna in stile, ma quando improvvisa lo fa alla sua maniera.
E’ la volta poi della title track del disco che gli è valso il Grammy, Take Me To The Alley, dove in un soft funk ci regala una grande prova da crooner, in perfetto stile soul e gospel. In Don’t Lose Your Stream la band ci fa ascoltare un bellissimo gospel funk in cui Porter comincia in duo con la batteria e poi seguita inserendo pian piano tutti fino ad un notevole assolo di Ondrej Pivec all’hammond che fino ad ora ha accompagnato in modo impeccabile.
Grande fermento tra il pubblico quando comincia Hey Laura, quinta traccia di Liquid Spirit, disco del 2014, ma uscita come singolo già nel 2013, l’anfiteatro canta con lui e gode di questo momento presentato even eight.
Poi, è la volta proprio di Luquid Spirit, qui comincia improvvisando in rubato con il pianoforte, dedicando al pubblico un pensiero “dritto al ritmo del vostro cuore”, poi di colpo diventa un gospel funk con tanto di “clap your hands” in cui ad un certo punto riconosciamo anche lo storico Wade in the Water. Il solismo di Jahmal Nichols al contrabbasso è roots e tenebroso, in un punto accenna anche Smoke On The Water, il loro soft funk è picchiato bene, con stop time nei punti giusti e sempre un occhio di riguardo per la tradizione del gospel, a farsi strada nelle anime di tutti.
In Musical Genocide Porter denuncia il tracollo stilistico della musica in generale con una particolare attenzione a quella afroamericana e cita, improvissando nel loro stile, alcuni tra i nomi più importanti della storia del jazz, ponendo l’accento sulla controtendenza, che lo ha spinto a lasciare fuori R&B e gospel contemporaneo, che se all’inizio poteva sembrare senza futuro, alla fine gli ha dato ragione. Come a sottolineare che la qualità ripaga sempre.
La presenza di Gregory Porter, e soprattutto la sua voce e il suo modo di cantare creano un clima di devozione quasi religioso e permettono a chiunque assista di sentire nel profondo l’anima dell’artista e anche la propria, personalmente ho ascoltato il bis con i gomiti sul palco, come avrei fatto da bambina, perchè è anche questa la potenza di Porter, riesce a spogliarci di ogni pregiudizio e negatività facendoci tornare a casa.
Alessandra Stornelli
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Alessandra Stornelli nasce come pianista classica, ma ben presto comincia a dedicarsi anche al canto, prima nella accezione pop, poi orientandosi verso il soul, esibendosi anche diverse volte al Teatro Ariston di Sanremo, oltre che in svariati concerti. Nel 2005 consegue una laurea magistrale in Storia della Musica con Guido Zaccagnini presso il DAMS di Roma3 con il massimo dei voti e con una tesi su i rapporti intercorsi in 100 anni fra il Teatro La Fenice di Venezia e il Festival Internazionale di Musica Contemporanea, nella quale intervista Giorgio Battistelli e Mario Messinis.