Napoli – Si è svolta mercoledì 28 settembre, alle 18.00, la presentazione del libro “Ragazzi a Rischio” della scrittrice e giornalista Monica Florio, presso l’istituto scolastico Errekappa in piazza Vanvitelli, 15. All’evento, organizzato in collaborazione con La KlessidRa, sono intervenuti: Ermanno Corsi, Annella Prisco e Luciano Scateni. Letture di Mariarosaria Riccio. Saluti di Laura Russo Krauss.
Dopo aver sondato gli abissi del giallo, con punte noir, Monica Florio torna a scrivere di denuncia sociale, un tema che comunque permea tutta la sua produzione letteraria.
Ritroviamo Tommy che, dopo la sua lotta personale contro l’omofobia, il pregiudizio e la discriminazione, ha deciso di occuparsi di quei ragazzi “che nessuno vuole“, perché ritenuti dai più senza speranza.
Ragazzi che si muovono nel vuoto istituzionale e nell’assenza di un’azione adeguata da parte di tutte le agenzie di socializzazione primaria e secondaria, vittime di un silenzio colpevole, dell’abbandono e del degrado.
Lui però, che ha provato sulla sua pelle i morsi e le ferite, spesso indelebili, della noncuranza accompagnata dalla ferocia dell’intolleranza, decide di non lasciarli soli e di accompagnarli lungo un cammino di riscatto possibile.
Lasciamo ora la parola a Monica Florio che ci racconta i mille volti del suo nuovo romanzo.
Se queste parole vi entreranno dentro, o susciteranno semplicemente la curiosità di saperne di più, l’appuntamento è in libreria per immergersi in queste pagine ed intraprendere il proprio personale viaggio.
D. Chi sono i ragazzi a rischio di cui parli, come li hai caratterizzati?
R. Al Centro Alias, Tommy segue un gruppo di giovani disagiati, diventando per loro ben più di un educatore. Attraverso i personaggi di Alberto, Andrea, Giorgio, Imma, Nadia, Massimo e Pino ho voluto esplorare problematiche quali il disturbo bipolare e quello di genere, l’handicap, il disagio di chi è stato adottato e quello prodotto dall’ambiente sociale di provenienza. Questi ragazzi, trascurati spesso dallo loro famiglie, troveranno in Padre Gregorio, il sacerdote che gestisce questa struttura educativa, e nello stesso Tommy dei punti di riferimento per orientarsi nel mondo del lavoro e nella vita stessa.
D. Qual è il sottile filo rosso che unisce Tommy a questi ragazzi, tra passato e presente?
R. All’inizio della storia Tommy ha ventisei anni, l’età giusta per essere agli occhi dei suoi allievi una sorta di fratello maggiore maturo e responsabile. Nel finale, invece, ha luogo uno spostamento temporale, per cui il mio personaggio, psicologo affermato ormai quarantenne, non ha interrotto i rapporti con questi giovani che, nel frattempo, sono riusciti a realizzarsi e provano nei suoi confronti gratitudine perché lui li ha accettati senza giudicarli né compatirli.
Ho voluto dare un messaggio di speranza a quei ragazzi che non fanno parte della fascia di teen-ager superficiali e spensierati da cui siamo circondati.
D. La Napoli di cui parli, sfondo e protagonista, come viene delineata?
R. Come negli altri miei libri, Napoli non si riduce a uno sfondo ma è l’anima delle vicende che racconto. C’è la Napoli trafficata e verace, teatro delle avventure dei ragazzi a rischio (Piazza Garibaldi, la Sanità) e quella borghese in cui vive la famiglia di Tommy, che lui va a trovare un week-end al mese. Tommy, infatti, si è trasferito a Caserta per frequentare l’università ma è legatissimo alla sua città, nella quale incontrerà dopo tanto tempo Gabriele e stabilirà con lui un rapporto non solo di amicizia.
D. L’esperienza di educatore di comunità, di cui parli, è frutto di racconti che hai raccolto o di un’esperienza diretta?
R. L’esperienza maturata da Tommy non è frutto della fantasia ma ricalca la realtà, anche se non in modo strettamente personale. Alcuni giovani che nell’adolescenza sono stati vittime di bullismo omofobico si pongono l’obiettivo, una volta adulti, di aiutare i meno fortunati a vincere l’amarginazione che li condanna. Tommy è uno che non ha dimenticato il proprio passato di vittima che, invece di indurirlo, lo ha reso più umano e sensibile. Per lui è una sfida vera e propria perché, pur avendo una laurea in psicologia, è solo uno stagista, oltre che un introverso.
D. Ancora una volta a essere protagonisti sono il degrado e il pregiudizio. Quali pregiudizi in particolare?
R. Questi ragazzi vengono da quartieri a rischio come Miano, Poggioreale, Secondigliano, in cui regnano violenze e illegalità. Per loro il Centro Alias rappresenta un’opportunità preziosa, essendo privi di un studio, di ottenere una qualifica nel ramo della ristorazione. Nei loro confronti c’è il pregiudizio che non siano migliori del contesto da cui provengono.
Sarà Padre Gregorio a evitare che molti di loro finiscano per la strada, a ingrossare le fila della camorra.
D. Cosa si può fare, secondo te, perché alcuni ragazzi, figli del disagio sociale, possano uscire dalla sacca del rischio?
R. La storia che racconto suggerisce un’alternativa possibile al destino in apparenza segnato di tanti ragazzi a rischio: fornire delle opportunità concrete di lavoro a questi giovani che verranno messi nelle condizioni di imparare un mestiere. La frequentazione del Centro abituerà i corsisti al rispetto di orari e regole nonché all’impegno perché per poter ottenere il diploma dovranno prima superare gli esami di rito.
Tania Sabatino
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